LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Terza Sezione Civile 
 
    Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: 
    dott. Giuseppe Salme' - Presidente 
    dott. Roberta Vivaldi - Consigliere 
    dott. Adelaide Amendola - Consigliere 
    dott. Franco De Stefano - Rel. Consigliere 
    dott. Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere 
Ha pronunciato la seguente 
 
                      Ordinanza interlocutoria 
 
    Sul ricorso 22873-2012 proposto da: 
        Monviso Finance  S.r.l.  03839890260,  in  persona  dei  suoi
procuratori speciali dott. Giovanni Maria  Cecconi  nonche'  dott.ssa
Denise Baldi, elettivamente domiciliata in Roma, via Anastasio II 80,
presso lo studio dell'avvocato Adriano Barbato, che la rappresenta  e
difende unitamente all'avvocato Roberto Manfredi  giusta  procura  in
calce al ricorso; 
 
                                                       - Ricorrente - 
    Nonche' contro: Ferretti Roberta, Pan Graziella; 
 
                                                         - Intimate - 
    Avverso il provvedimento del Tribunale di Como, depositato il  19
luglio 2012 R.G.N. 1035/12; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
22 gennaio 2015 dal Consigliere dott. Franco De Stefano; 
    Udito l'avvocato Adriano Barbato; 
    Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Gianfranco Servello che ha concluso per l'accoglimento del 1°  motivo
di ricorso, assorbito il 2°. 
 
                        In fatto e in diritto 
 
    § 1. - La Monviso  Finance  S.r.l.  ricorre,  affidandosi  a  tre
motivi, per la cassazione dell'ordinanza, resa il 19 luglio 2012, con
cui il Tribunale  di  Como  ha  definito  l'impugnazione  avverso  il
decreto (del 1°  dicembre  2012)  di  liquidazione  del  compenso  al
custode -  dott.ssa  Roberta  Ferretti  -  nominato  nella  procedura
esecutiva immobiliare da essa intentata ai danni di Graziella Pan  ed
iscritta al n. 612/10 r.g.e. di quel Tribunale (e dichiarata  estinta
con provvedimento del 31 gennaio 2012). 
    Nessuna delle intimate svolge attivita' difensiva in questa sede. 
    §  2.  -  Il  Tribunale  di  Como  ha  dichiarato   inammissibile
l'opposizione  al  provvedimento  di  liquidazione  del  compenso  al
custode  nominato  nel  corso  di  una  espropriazione   immobiliare,
intrapresa dalla  creditrice  ai  sensi  dell'art.  170  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115 del 2002. 
    Al riguardo, la qui gravata ordinanza ipotizza  dapprima  che  le
previsioni del detto  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  si
applichino soltanto alle liquidazioni in favore del custode  in  caso
di sequestro penale probatorio e preventivo e, in materia civile,  di
sequestro conservativo e  giudiziario,  si'  da  prospettare  per  la
liquidazione del compenso  al  custode  nominato  nell'espropriazione
immobiliare il solo rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi. 
    Peraltro, «indipendentemente da ogni  statuizione  in  ordine  al
mezzo di impugnazione astrattamente pertinente alla fattispecie»,  la
stessa  ordinanza  definisce  comunque  tardiva   l'opposizione,   in
rapporto  alla  data  di   conoscenza   del   provvedimento   opposto
(individuata nell'8 febbraio 2012, data di proposizione  dell'istanza
di  riduzione  al  g.e.)  rispetto  alla  data  di  proposizione  del
procedimento (individuata nel di' 1° marzo 2012). 
    § 3. - La ricorrente sviluppa tre motivi e: 
    col primo (rubricato «ai sensi dell'art. 360 comma 1,  n.  3  per
violazione e falsa applicazione dell'art. 170 decreto del  Presidente
della Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115»)  nega  la  tardivita',
invocando  la  carenza  di  termini  perentori  per  la  proposizione
dell'opposizione,   in   conseguenza   della    sostituzione    della
disposizione ad opera dell'art. 34, comma 17, decreto legislativo  1°
settembre 2011, n. 150, applicabile  con  decorrenza  dal  6  ottobre
2011; 
    col secondo (rubricato «ai sensi dell'art. 360 comma 1 n.  3  per
violazione o falsa applicazione degli artt. 168, 2  comma  e  170,  1
comma, decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio  2002,  n.
115») contesta l'individuata decorrenza  del  termine,  ove  ritenuto
tuttora previsto, in tempo anteriore ad una formale comunicazione  da
parte della cancelleria, nella specie mai avutasi; 
        col terzo (rubricato «ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 per
omesso esame circa un fatto decisivo per il  giudizio  che  e'  stato
oggetto di discussione tra le parti»), infine, si duole della mancata
applicazione, alla fattispecie  del  d.m.  15  maggio  2009,  n.  80,
emanato ai sensi dell'art. 21 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, in
base alla quale il compenso non avrebbe potuto  essere  liquidato  in
misura superiore ad €  4.746,94,  disattendendo  la  diversa  tabella
applicata nel Tribunale di Como dal 2003  (per  intero  trasfusa  nei
ricorso), oltretutto malamente applicata in concreto;  ne'  rilevando
il rigetto dell'istanza di revisione riduttiva  del  compenso,  o  la
transazione intercorsa con custode nel frattempo. 
    § 4. - Va preliminarmente rilevato che anche il provvedimento  di
liquidazione del compenso al custode dell'espropriazione  immobiliare
e' soggetto alla  disciplina  dell'art.  170 decreto  del  Presidente
della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. 
    § 4.1. A tale conclusione si perviene in base agli argomenti gia'
sviluppati da Cass. 29 gennaio 2007, n. 1887,  per  altro  ausiliario
del giudice (e, pure in tal  caso,  del  giudice  dell'espropriazione
immobiliare): 
    prima del testo unico n. 115/02, le  disposizioni  dettate  dalla
legge 8 luglio 1980, n. 319, sono state interpretate da questa  corte
nel senso che contenessero una disciplina speciale, applicabile  alle
sole figure di ausiliari del  giudice  indicati  nel  suo  art.  1  -
periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori - e non in genere
agli  ausiliari  del  giudice,  ai  quali  si  applicava  invece   la
disciplina generale di cui agli artt. 54 e 55 disp. att.  Cod.  proc.
civ.; 
    il detto testo unico ha pero'  abrogato  la  legge  n.  319/80  e
l'art. 168, comma  1,  dello  stesso  testo  unico  fa  ora  generale
riferimento a tutti gli ausiliari del magistrato; 
    la portata di tale definizione e'  poi  esplicitata  nell'art.  3
lett. n), secondo il quale  essa  comprende,  oltre  alle  figure  di
ausiliari in precedenza indicate nella legge n. 319/80 (al  suo  art.
1), «qualunque altro soggetto competente, in una determinata  arte  o
professione  o  comunque  idoneo  al  compimento  di  atti,  che   il
magistrato o il funzionario addetto all'ufficio puo' nominare a norma
di legge»: definizione, questa, che a sua  volta  ricalca  testo  del
primo comma dell'art. 68 Cod. proc. civ.; 
        un simile passaggio dalla precedente  formulazione  a  quella
attuale comporta  l'attrazione  di  ogni  figura  di  ausiliario  del
giudice nell'ambito di  applicazione  del  modulo  procedimentale  in
origine stabilito dall'art. 11 della legge n. 319/80 ed  ora  ripreso
dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,  n.  115,
art. 168, e segg.: cio' che risponde al  criterio  direttivo  fissato
dalla legge 8 marzo 1999, n. 50, art. 1, comma 2, lett. d); 
        la  medesima  innovazione  risponde  poi   al   condivisibile
criterio di raggiungere coerenza sistematica  e  di  unificare  sotto
un'unica   preesistente   disciplina,   intrinsecamente   capace   di
atteggiarsi come generale, pluralita' di  discipline  applicabili  in
distinti settori alla stessa materia. 
    § 4.2. Sulla base di queste premesse, anche il  custode  nominato
ai sensi dei commi secondo e seguenti dell'art. 559 Cod.  proc.  civ,
nel corso  di  un'espropriazione  immobiliare  rientra  nell'indicata
nozione di ausiliario del magistrato: infatti, egli  ne  presenta  il
tratto di contribuire con la  propria  attivita'  ad  individuare  il
contenuto  degli  atti  che  debbono  essere  compiuti  nel  processo
dall'ufficio giudiziario ed  anzi  ne  agevola  indiscutibilmente  la
progressione con attivita' materiali sue proprie, complementari ma al
contempo indispensabili e non concretamente  suscettibili  di  essere
compiute dal giudice o dal cancelliere. 
    In definitiva il custode, occupandosi della proficua gestione del
bene staggito al fine della migliore sua  collocazione  sul  mercato,
orienta utilmente la stessa prosecuzione del processo esecutivo verso
il fine di ogni espropriazione, ormai codificato  [dall'art.  164-bis
disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall'art. 19, comma  2,  lett.
b), del decreto-legge n. 132/14, conv. con mod. in legge n. 162/14  e
di immediata applicazione, non applicandosi la disciplina transitoria
di cui all'art. 19, comma 6-bis, del  decreto-legge  n.  132/14]  nel
perseguimento del soddisfacimento delle  ragioni  del  creditore  nel
modo piu' economico possibile. 
    § 4.3. Pertanto, avverso  i  provvedimenti  di  liquidazione  del
compenso  al   custode   (che   non   sia   il   debitore)   nominato
nell'espropriazione immobiliare va proposta  la  tipica  impugnazione
prevista dall'art. 170 decreto del  Presidente  della  Repubblica  30
maggio 2002, n. 115 (e succ. mod. e integr.). 
    § 5. - La questione  posta  dal  primo  motivo  -  relativa  alla
sussistenza di un termine perentorio per la proposizione dell'azione,
la cui soluzione in senso positivo ha determinato, nel caso all'esame
di   questa    corte,    la    declaratoria    di    inammissibilita'
dell'impugnazione  per  tardivita',  qui  gravata  -  assume   allora
carattere  di   decisiva   rilevanza   per   la   definizione   della
controversia. 
    E' evidente infatti il suo rango logicamente preliminare rispetto
agli altri due motivi  di  doglianza,  essendo  il  secondo  relativo
all'inoperativita' del  termine  perentorio  per  difetto  di  valida
comunicazione (visto che ogni questione sull'utile decorrenza  di  un
termine presuppone comunque l'esistenza di quest'ultimo) ed il  terzo
avendo ad oggetto l'erroneita' della mancata applicazione del d.m. in
luogo della tabella locale (motivo  tecnicamente  infondato,  siccome
riferito al merito dell'impugnazione, coerentemente non esaminato dal
giudice che di questa ha ritenuto l'inammissibilita' per  ragioni  di
rito o di forma). 
    § 6. - Ora, la riforma dell'art. 170 decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,  operata  con  l'art.  15  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150, ne  ha  comportato  la  totale
riscrittura. 
    Invero, il testo originario dell'art. 170 prevedeva, al suo primo
comma,  che  «Avverso  il  decreto  di  pagamento  emesso  a   favore
dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle  imprese  private
cui e' affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il
beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico  ministero,
possono  proporre  opposizione,  entro  venti  giorni   dall'avvenuta
comunicazione, al presidente dell'ufficio giudiziario competente»; ed
i commi successivi prevedevano l'applicazione del  processo  speciale
previsto  per  gli  onorari  di  avvocato,  affidandolo   all'ufficio
giudiziario in composizione monocratica, cui conferivano il potere di
sospendere l'esecuzione provvisoria del  decreto  con  ordinanza  non
impugnabile e di acquisire atti, documenti ed informazioni  necessari
ai fini della decisione. 
    Il  termine  previsto  da  tale  norma  doveva  poi  qualificarsi
perentorio, come presupposto gia' nella giurisprudenza specificamente
intervenuta sul punto - Cass. 6 ottobre 2011, n. 20485, ovvero  Cass.
14 giugno 2012, n. 9792 -  e  conformemente  a  quanto  gia',  invece
espressamente, affermato per il termine  imposto  per  fa  previgente
opposizione ai sensi dell'art. 11, comma quinto, legge 8 luglio 1980,
n. 319 (fin da Cass. 21 aprile 1994, n.  3812),  siccome  finalizzato
alla proposizione di un'impugnazione. 
    In virtu' della legge di delega, di cui ai  primi  quattro  commi
dell'art.  54  della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,  il   decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150, ha ricondotto il procedimento,
gia'  disciplinato  dall'art.  170  decreto  del   Presidente   della
Repubblica n. 115/02, allo schema del procedimento sommario,  ma  non
ha riprodotto il termine di proposizione espressamente previsto nella
disciplina originaria. 
    Infatti,  l'art.   34,   comma   diciassettesimo,   del   decreto
legislativo n. 150/11 ha sostituito il primo comma dell'art.  170  ed
abrogato i commi successivi, sicche' esso prevede ora  solamente  che
«avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario  del
magistrato, del custode e  delle  imprese  private  cui  e'  affidato
l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario  e
le  parti  processuali,  compreso  il  pubblico  ministero,   possono
proporre  opposizione»   e   che   «l'opposizione   e'   disciplinata
dall'articolo 15 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150». 
    Contemporaneamente, l'art. 15 del  medesimo  decreto  legislativo
prevede: 
        «1. Le controversie previste  dall'articolo  170 decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono regolate dal
rito sommario  di  cognizione,  ove  non  diversamente  disposto  dal
presente articolo. 
    2. Il ricorso e' proposto al capo  dell'ufficio  giudiziario  cui
appartiene il magistrato che ha emesso  il  provvedimento  impugnato.
Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice  di
pace e del pubblico ministero presso il Tribunale  e'  competente  il
presidente del Tribunale. Per i provvedimenti  emessi  da  magistrati
dell'ufficio del pubblico ministero presso la  corte  di  appello  e'
competente il presidente della corte di appello. 
    3. Nel giudizio di merito le  parti  possono  stare  in  giudizio
personalmente. 
    4. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato puo'  essere
sospesa secondo quanto previsto dall'articolo 5. 
    5.  Il  presidente  puo'  chiedere  a  chi  ha  provveduto   alla
liquidazione o  a  chi  li  detiene,  gli  atti,  i  documenti  e  le
informazioni necessari ai fini della decisione. 
    6. L'ordinanza che definisce il giudizio non e' appellabile.». 
    E' evidente che dei termine, originariamente previsto, non vi  e'
piu' traccia: sicche', in base ad elementari criteri  ermeneutici  in
tema  di  successione  delle  leggi,  dal  combinato   disposto   del
diciassettesimo  comma  dell'art,  34  e  dell'art.  15  del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150,  risulta  che  esso  e'  stato
soppresso, per essere stata abrogata, mediante integrale riscrittura,
la norma che, in precedenza, lo prevedeva. 
    Ma la disposizione che ha comportato tale risultato -  e  la  cui
applicazione potrebbe essere dirimente nel caso in  esame  -  non  si
sottrae a dubbi di non conformita' alla  Costituzione,  da  rilevarsi
anche di ufficio. 
    § 7. - In primo luogo, in modo non manifestamente infondato  puo'
sostenersi che una simile disposizione abbia  oltrepassato  i  limiti
della legge delega e quindi violato l'art. 76 della Costituzione. 
    § 7.1. I principi ed i criteri direttivi della delega per la c.d.
semplificazione dei riti civili sono stati  posti  dal  comma  quarto
dell'art. 54 della richiamata legge n. 69/09  nei  seguenti  testuali
termini: 
        «a) restano fermi i criteri di competenza, nonche' i  criteri
di composizione dell'organo giudicante, previsti  dalla  legislazione
vigente; 
    b) i procedimenti  civili  di  natura  contenziosa  autonomamente
regolati dalla legislazione  speciale  sono  ricondotti  ad  uno  dei
seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile: 
        1)  i  procedimenti  in  cui  sono  prevalenti  caratteri  di
concentrazione processuale, ovvero di  officiosita'  dell'istruzione,
sono ricondotti al rito disciplinato dal libro  secondo,  titolo  IV,
capo I, del codice di procedura civile; 
        2) i procedimenti, anche se in camera di  consiglio,  in  cui
sono prevalenti caratteri  di  semplificazione  della  trattazione  o
dell'istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario
di cognizione di cui al libro quarto, titolo  I,  capo  III-bis,  del
codice di procedura civile, come introdotto  dall'articolo  51  della
presente legge, restando tuttavia esclusa per  tali  procedimenti  la
possibilita' di conversione nel rito ordinario; 
        3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti  al  rito  di
cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di
procedura civile; 
        c) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2)  e
3) della lettera b) non  comporta  l'abrogazione  delle  disposizioni
previste dalla legislazione speciale  che  attribuiscono  al  giudice
poteri ufficiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che
non  possono  conseguirsi  con  le  norme  contenute  nel  codice  di
procedura civile; 
        d) restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali  in
materia di procedure  concorsuali,  di  famiglia  e  minori,  nonche'
quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre  1933,  n,  1669,  nel
regio decreto 21 dicembre 1933, n, 1736, nella legge 20 maggio  1970,
n. 300, nel codice della proprieta' industriale  di  cui  al  decreto
legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di  cui
al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.». 
    § 7.2. I primi commentatori non hanno mancato di rilevare che  la
dimenticanza nell'indicazione dei termine di decadenza  per  proporre
opposizione, che in precedenza era di venti giorni, abbia  comportato
l'introduzione  nel  tessuto  normativo  di  nuove  contraddizioni  e
difficolta' operative: lacuna che e' subito apparsa insuscettibile di
essere colmata in via interpretativa, poiche' i termini decadenziali,
come noto, devono risultare chiari nella legge; e non si  e'  mancato
di rimarcare come, paradossalmente, resti invece in vigore il termine
di  venti  giorni  previsto  per  l'opposizione  contro  diniego   di
ammissione al gratuito  patrocinio  nel  solo  processo  penale,  non
essendo stato infatti abrogato l'art. 99 del richiamato t.u. 115  del
2002, sicche' termine  da  esso  individuato  dovrebbe  continuare  a
vincolare l'opponente. Si e' pertanto da  alcuni  rilevato  che,  non
potendosi giungere all'estensione, in  via  ermeneutica,  di  termini
previsti per fattispecie diverse, non si  avrebbe  altra  scelta  che
sollevare la questione di legittimita' costituzionale, se  non  altro
sotto  il  profilo  dell'eccesso  di  delega,   quanto   all'avvenuta
soppressione del detto termine perentorio. Altri, al contrario ed  al
dichiarato fine di scongiurare un tale altrimenti evidente profilo di
illegittimita' costituzionale, hanno ritenuto, anche tra i giudici di
merito, evincibile  in  via  ermeneutica  un  termine  perentorio  di
proposizione dell'opposizione. 
    § 7.3. Eppure, deve in modo convinto escludersi  la  possibilita'
di  ricavare  in  via  interpretativa  l'imposizione  di  un  termine
decadenziale, quale quello breve  per  proporre  un'impugnazione  (il
quale, significativamente, e' previsto  specificamente  per  ciascuna
azione di  impugnazione  -  ordinaria  e  straordinaria  -  in  senso
tecnico, a differenza di quello ordinario di cui  all'art.  327  Cod.
proc. civ.), ovvero quello che, in generale, puo' essere previsto per
lo speciale schema procedimentale della «opposizione». 
    Quest'ultimo   consiste   nell'introduzione   di   una   fase   a
contraddittorio restaurato - o finalmente instaurato - ma eventuale e
rimessa all'impulso della parte nei cui confronti  il  provvedimento,
generalmente in presenza di  particolari  condizioni  di  favore  per
colui  che  lo  consegue,  e'  stato  emesso:  solo  tali   peculiari
condizioni e la garanzia della restaurazione,  sia  pur  posticipata,
del  contraddittorio  giustificano   l'inversione   della   posizione
processuale delle  parti  e  l'alterazione  dell'altrimenti  doveroso
iniziale   equilibrio   tra   le   parti   (e,   cosi',   la   stessa
costituzionalita' del sistema). 
    La deduzione in via interpretativa di un termine decadenziale non
espressamente  previsto,  in  un  contesto   dove   anzi   e'   stato
esplicitamente soppresso, e' in  insanabile  contrasto  con  principi
generali di ermeneutica,  primo  fra  tutti  quello  di  specialita',
applicato  al  diritto  processuale  in  relazione  alla  tendenziale
liberta' di estrinsecazione delle facolta' in  cui  si  sostanzia  il
diritto di difesa. 
    E neppure potrebbe ricostruirsi un preteso  sistema  generale  di
opposizioni e di termini perentori che le assistano, quand'anche  una
certa  omogeneita'  sia  riscontrabile  in  tal  senso  nel  medesimo
contesto normativa (il decreto legislativo n. 150/11 qui in esame) di
riconduzione a specifici riti preesistenti di altri, in origine anche
tra loro sensibilmente  differenziati:  infatti,  il  sistema  e'  un
composito quadro di procedimenti ciascuno  con  le  sue  specialita',
salvo solo  il  generale  richiamo  ad  un  contesto  complessivo  di
riferimento, significativamente privo - nelle sue previsioni generali
ovvero originarie - di previsioni decadenziali, strutturati  ciascuno
ed in concreto su norme processuali di  stretta  interpretazione,  se
non francamente eccezionali. 
    Al contempo, il termine decadenziale in  parola  e'  coessenziale
alla certezza del diritto e quindi alla funzione stessa del  processo
e delle scansioni  temporali  in  cui  esso  deve  articolarsi,  onde
giungere  ad  un  vaglio  della  pretesa  azionata,  il  quale  possa
conseguire il risultato della stabilita' quale  significativo  valore
aggiunto rispetto alla situazione conflittuale di partenza. 
    § 7.4. Ma sopprimere un termine  decadenziale  eccede  certamente
dall'ambito della delega, circoscritta com'e' stata  questa  -  nella
specie - alla mera «riconduzione» di un rito preesistente  ad  altro:
cio' che implica, anche da un punto di vista semantico,  una  modesta
attivita' di risussunzione o, a tutto concedere e nei limiti imposti,
di un coordinamento  sistematico  si',  ma  pur  sempre  lessicale  e
formale, tale da consentire al nuovo  articolato  la  conformita'  al
modello di riferimento ed una piu' organica ed ordinata articolazione
enunciativa. 
    Ed  i  relativi  poteri  in  concreto  conferiti  al  legislatore
delegato,  gia'  intrinsecamente  circoscritti  siccome   finalizzati
esclusivamente a tale esito di  assimilazione  o  comprensione,  sono
stati viepiu' limitati dall'imposizione della  necessita'  di  tenere
fermi i poteri ufficiosi preesistenti e tutti gli effetti processuali
speciali (che non possono cioe' conseguirsi con  le  norme  contenute
nel codice di procedura civile e quindi in via diretta  ed  immediata
in dipendenza  del  sistema  processuale  generale)  della  normativa
originaria: tutto a  rimarcare  la  funzione  di  mero  coordinamento
sistematico, estrinseco e formale dei riti  preesistenti  in  cui  il
legislatore delegante ha inteso risolvere o ridurre il  programma  di
semplificazione. 
    § 7.5. In conclusione, il termine originario di venti giorni: 
      non poteva essere soppresso dal legislatore delegato; 
      non puo' recuperarsi  -  se  non  a  prezzo  di  aperte  e  non
consentite violazioni di  consolidati  principi  generali  -  in  via
ermeneutica dal contesto del codice di procedura civile  o  da  altre
norme processuali speciali od eccezionali, tali dovendo  qualificarsi
quelle  che  impongono  termini  di  decadenza  o   preclusione   per
l'esercizio di attivita' processuali altrimenti libere; 
      non puo' essere surrogato dall'ordinario termine  -  altrimenti
detto «lungo» - previsto  dall'art.  327  Cod.  proc.  civ.,  siccome
previsto per tutte le impugnazioni in senso tecnico (quale, a stretto
rigore, l'opposizione  in  parola  non  e');  e  comunque  in  quanto
integrante una barriera preclusiva ulteriore rispetto  a  quella  del
termine c.d. breve, proprio e speciale per ciascuna di quelle; 
        non  puo'  essere   surrogato   dall'ordinario   termine   di
prescrizione, siccome irragionevolmente eccessivo. 
    Ora, l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale di
norme  abrogatrici  a  seguito  di  riscontrato  eccesso  di   delega
comporterebbe la reviviscenza delle norme  illegittimamente  abrogate
(Corte cost. 27 giugno 2012, n. 162):  e,  quindi,  semplicemente  la
restaurazione del solo originario termine perentorio di  proposizione
di  venti  giorni,  che   sarebbe   addetta   al   corpus   normativo
compiutamente riscritto, senza porsi in alcun modo in contrasto,  ne'
esigere alcun ulteriore coordinamento, neppure solo formale. 
    Di conseguenza, va di ufficio rimessa alla  Corte  costituzionale
la questione di legittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
degli artt. 34, comma  diciassettesimo,  e  15,  comma  secondo,  del
decreto legislativo 1° settembre 2011,  n.  150,  per  contrasto  con
l'art. 76 Cost. ed in relazione ai commi primo e quarto dell'art.  54
della legge 18 giugno 2009, n. 69 nella parte in  cui  -  risultatone
abrogato l'inciso, contenuto nell'originario  primo  comma  dell'art.
170 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,  n.  115,
«entro venti  giorni  dall'avvenuta  comunicazione»  -  piu'  non  e'
previsto che il ricorso e' proposto entro venti giorni  dall'avvenuta
comunicazione. 
    § 8. - Senza rinunziare al carattere logicamente prioritario - se
non assorbente - dell'impostazione della appena illustrata  questione
di legittimita' costituzionale in dipendenza del  vizio  genetico  di
formazione della norma denunziata, non puo' peraltro farsi a meno  di
prospettare, in via chiaramente subordinata - ma non meno convinta  -
rispetto a quella, un ulteriore  profilo  di  non  conformita'  delle
disposizioni in esame ai principi costituzionali, in  riferimento  al
contenuto sostanziale ed agli indiscutibili effetti delle medesime. 
    A tanto si perviene, in  particolare,  non  gia'  ipotizzando  un
legame irrisolto di  alternativita'  tra  le  due  questioni,  ma  un
collegamento di subordinazione logica di quella  che  si  va  ora  ad
affrontare  rispetto  a  quella  appena  argomentata,  invocando   la
deliberazione sulla seconda solo per il caso di rigetto di quella che
precede (per tutte, Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188)  e,  quindi,
in via consecutiva tra le due (Corte cost., 17 gennaio 1993, n. 7). 
    § 8.1, Infatti, la soppressione della previsione  di  un  termine
perentorio per la proposizione dell'opposizione avverso il decreto di
liquidazione  del  compenso  all'ausiliario   del   giudice   involge
un'ulteriore e subordinata, anch'essa non manifestamente infondata  e
comunque rilevante per quanto argomentato sopra sub § 5, questione di
legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e  111
comma 7 della Costituzione: 
        sotto   il   primo   profilo,   poiche'   viene   ad   essere
ingiustificatamente trattata in modo  diverso  la  fattispecie  della
liquidazione dell'ausiliario del giudice da  ogni  altra  ipotesi  di
provvedimento reso inaudita altera parte dal giudice  civile  con  la
scansione   procedimentale   «decreto-opposizione-restaurazione   del
contraddittorio» (archetipo delle quali e' il procedimento  monitorio
ai  sensi  degli  artt.  633  ss.  Cod.  proc.  civ.),  nella   quale
il transito  all'ultima  di  tali  fasi,  relegata  ad  un  ruolo  di
eventualita' e posticipazione delle ordinarie  facolta'  processuali,
e' sempre ancorato a termini  decadenziali  ed  assistito  da  idonee
preclusioni, sovente assimilate al giudicato; 
        sotto il secondo profilo,  perche'  il  provvedimentoinaudita
altera  parte  indefinitamente  impugnabile   impedisce   in   radice
un'efficace difesa dei diritti delle parti, mentre - ben al contrario
- dall'esigenza di garantire quest'ultima discendono: da un lato, una
certa immanente suscettibilita'  di  revisione  od  impugnazione  del
provvedimento, almeno fino a quando non sia  restaurata  la  pienezza
del  contraddittorio  e  solo  successivamente  con   limitazioni   e
scansioni; dall'altro lato, la sottoposizione della relativa facolta'
a termini chiari e preclusivi, idonei a dar luogo ad un'affidabile  -
quanto  meno  relativa  -  immutabilita',  tale  da   escludere   una
precarieta' sine die o permanente dell'accertamento e  dell'eventuale
condanna in sede giurisdizionale (ed apparendo, se soli residui,  gli
ordinari  termini  di  prescrizione   manifestamente   connotati   da
irragionevole eccessivita'); 
        sotto il terzo profilo, perche' impedisce  il  raggiungimento
dell'obiettivo, da ritenersi proprio di ogni giusto processo, di  una
stabilita' - almeno tendenziale -  della  pronunzia  giurisdizionale:
poiche' dai principi in materia discende (Corte cost., ord. 6  maggio
2010, n. 163; Corte cost., ord. 4 luglio 2013, n. 174) il diritto  ad
un equo vaglio giurisdizionale, che sia governato pero', per primarie
esigenze ai contempo di certezza e ragionevole durata,  da  scansioni
temporali, il cui mancato  rispetto  deve  essere  assoggettato  alla
sanzione della decadenza dal compimento di determinate attivita'. 
    $ 9. - In  conclusione,  in  relazione  ad  entrambi  i  profili,
principale e subordinato, va disposta - ai sensi della legge 11 marzo
1953, n. 87,  art.  23  -  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale, con sospensione del presente giudizio ed assolvimento
degli adempimenti prescritti dai citato art. 23, comma 4.