LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Terza Sezione Civile Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: dott. Giuseppe Salme' - Presidente dott. Roberta Vivaldi - Consigliere dott. Adelaide Amendola - Consigliere dott. Franco De Stefano - Rel. Consigliere dott. Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Ha pronunciato la seguente Ordinanza interlocutoria Sul ricorso 22873-2012 proposto da: Monviso Finance S.r.l. 03839890260, in persona dei suoi procuratori speciali dott. Giovanni Maria Cecconi nonche' dott.ssa Denise Baldi, elettivamente domiciliata in Roma, via Anastasio II 80, presso lo studio dell'avvocato Adriano Barbato, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Roberto Manfredi giusta procura in calce al ricorso; - Ricorrente - Nonche' contro: Ferretti Roberta, Pan Graziella; - Intimate - Avverso il provvedimento del Tribunale di Como, depositato il 19 luglio 2012 R.G.N. 1035/12; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 gennaio 2015 dal Consigliere dott. Franco De Stefano; Udito l'avvocato Adriano Barbato; Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Gianfranco Servello che ha concluso per l'accoglimento del 1° motivo di ricorso, assorbito il 2°. In fatto e in diritto § 1. - La Monviso Finance S.r.l. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione dell'ordinanza, resa il 19 luglio 2012, con cui il Tribunale di Como ha definito l'impugnazione avverso il decreto (del 1° dicembre 2012) di liquidazione del compenso al custode - dott.ssa Roberta Ferretti - nominato nella procedura esecutiva immobiliare da essa intentata ai danni di Graziella Pan ed iscritta al n. 612/10 r.g.e. di quel Tribunale (e dichiarata estinta con provvedimento del 31 gennaio 2012). Nessuna delle intimate svolge attivita' difensiva in questa sede. § 2. - Il Tribunale di Como ha dichiarato inammissibile l'opposizione al provvedimento di liquidazione del compenso al custode nominato nel corso di una espropriazione immobiliare, intrapresa dalla creditrice ai sensi dell'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002. Al riguardo, la qui gravata ordinanza ipotizza dapprima che le previsioni del detto decreto del Presidente della Repubblica si applichino soltanto alle liquidazioni in favore del custode in caso di sequestro penale probatorio e preventivo e, in materia civile, di sequestro conservativo e giudiziario, si' da prospettare per la liquidazione del compenso al custode nominato nell'espropriazione immobiliare il solo rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi. Peraltro, «indipendentemente da ogni statuizione in ordine al mezzo di impugnazione astrattamente pertinente alla fattispecie», la stessa ordinanza definisce comunque tardiva l'opposizione, in rapporto alla data di conoscenza del provvedimento opposto (individuata nell'8 febbraio 2012, data di proposizione dell'istanza di riduzione al g.e.) rispetto alla data di proposizione del procedimento (individuata nel di' 1° marzo 2012). § 3. - La ricorrente sviluppa tre motivi e: col primo (rubricato «ai sensi dell'art. 360 comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione dell'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115») nega la tardivita', invocando la carenza di termini perentori per la proposizione dell'opposizione, in conseguenza della sostituzione della disposizione ad opera dell'art. 34, comma 17, decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, applicabile con decorrenza dal 6 ottobre 2011; col secondo (rubricato «ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 per violazione o falsa applicazione degli artt. 168, 2 comma e 170, 1 comma, decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115») contesta l'individuata decorrenza del termine, ove ritenuto tuttora previsto, in tempo anteriore ad una formale comunicazione da parte della cancelleria, nella specie mai avutasi; col terzo (rubricato «ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti»), infine, si duole della mancata applicazione, alla fattispecie del d.m. 15 maggio 2009, n. 80, emanato ai sensi dell'art. 21 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, in base alla quale il compenso non avrebbe potuto essere liquidato in misura superiore ad € 4.746,94, disattendendo la diversa tabella applicata nel Tribunale di Como dal 2003 (per intero trasfusa nei ricorso), oltretutto malamente applicata in concreto; ne' rilevando il rigetto dell'istanza di revisione riduttiva del compenso, o la transazione intercorsa con custode nel frattempo. § 4. - Va preliminarmente rilevato che anche il provvedimento di liquidazione del compenso al custode dell'espropriazione immobiliare e' soggetto alla disciplina dell'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. § 4.1. A tale conclusione si perviene in base agli argomenti gia' sviluppati da Cass. 29 gennaio 2007, n. 1887, per altro ausiliario del giudice (e, pure in tal caso, del giudice dell'espropriazione immobiliare): prima del testo unico n. 115/02, le disposizioni dettate dalla legge 8 luglio 1980, n. 319, sono state interpretate da questa corte nel senso che contenessero una disciplina speciale, applicabile alle sole figure di ausiliari del giudice indicati nel suo art. 1 - periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori - e non in genere agli ausiliari del giudice, ai quali si applicava invece la disciplina generale di cui agli artt. 54 e 55 disp. att. Cod. proc. civ.; il detto testo unico ha pero' abrogato la legge n. 319/80 e l'art. 168, comma 1, dello stesso testo unico fa ora generale riferimento a tutti gli ausiliari del magistrato; la portata di tale definizione e' poi esplicitata nell'art. 3 lett. n), secondo il quale essa comprende, oltre alle figure di ausiliari in precedenza indicate nella legge n. 319/80 (al suo art. 1), «qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all'ufficio puo' nominare a norma di legge»: definizione, questa, che a sua volta ricalca testo del primo comma dell'art. 68 Cod. proc. civ.; un simile passaggio dalla precedente formulazione a quella attuale comporta l'attrazione di ogni figura di ausiliario del giudice nell'ambito di applicazione del modulo procedimentale in origine stabilito dall'art. 11 della legge n. 319/80 ed ora ripreso dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 168, e segg.: cio' che risponde al criterio direttivo fissato dalla legge 8 marzo 1999, n. 50, art. 1, comma 2, lett. d); la medesima innovazione risponde poi al condivisibile criterio di raggiungere coerenza sistematica e di unificare sotto un'unica preesistente disciplina, intrinsecamente capace di atteggiarsi come generale, pluralita' di discipline applicabili in distinti settori alla stessa materia. § 4.2. Sulla base di queste premesse, anche il custode nominato ai sensi dei commi secondo e seguenti dell'art. 559 Cod. proc. civ, nel corso di un'espropriazione immobiliare rientra nell'indicata nozione di ausiliario del magistrato: infatti, egli ne presenta il tratto di contribuire con la propria attivita' ad individuare il contenuto degli atti che debbono essere compiuti nel processo dall'ufficio giudiziario ed anzi ne agevola indiscutibilmente la progressione con attivita' materiali sue proprie, complementari ma al contempo indispensabili e non concretamente suscettibili di essere compiute dal giudice o dal cancelliere. In definitiva il custode, occupandosi della proficua gestione del bene staggito al fine della migliore sua collocazione sul mercato, orienta utilmente la stessa prosecuzione del processo esecutivo verso il fine di ogni espropriazione, ormai codificato [dall'art. 164-bis disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall'art. 19, comma 2, lett. b), del decreto-legge n. 132/14, conv. con mod. in legge n. 162/14 e di immediata applicazione, non applicandosi la disciplina transitoria di cui all'art. 19, comma 6-bis, del decreto-legge n. 132/14] nel perseguimento del soddisfacimento delle ragioni del creditore nel modo piu' economico possibile. § 4.3. Pertanto, avverso i provvedimenti di liquidazione del compenso al custode (che non sia il debitore) nominato nell'espropriazione immobiliare va proposta la tipica impugnazione prevista dall'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (e succ. mod. e integr.). § 5. - La questione posta dal primo motivo - relativa alla sussistenza di un termine perentorio per la proposizione dell'azione, la cui soluzione in senso positivo ha determinato, nel caso all'esame di questa corte, la declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione per tardivita', qui gravata - assume allora carattere di decisiva rilevanza per la definizione della controversia. E' evidente infatti il suo rango logicamente preliminare rispetto agli altri due motivi di doglianza, essendo il secondo relativo all'inoperativita' del termine perentorio per difetto di valida comunicazione (visto che ogni questione sull'utile decorrenza di un termine presuppone comunque l'esistenza di quest'ultimo) ed il terzo avendo ad oggetto l'erroneita' della mancata applicazione del d.m. in luogo della tabella locale (motivo tecnicamente infondato, siccome riferito al merito dell'impugnazione, coerentemente non esaminato dal giudice che di questa ha ritenuto l'inammissibilita' per ragioni di rito o di forma). § 6. - Ora, la riforma dell'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, operata con l'art. 15 decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, ne ha comportato la totale riscrittura. Invero, il testo originario dell'art. 170 prevedeva, al suo primo comma, che «Avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui e' affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione, entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione, al presidente dell'ufficio giudiziario competente»; ed i commi successivi prevedevano l'applicazione del processo speciale previsto per gli onorari di avvocato, affidandolo all'ufficio giudiziario in composizione monocratica, cui conferivano il potere di sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto con ordinanza non impugnabile e di acquisire atti, documenti ed informazioni necessari ai fini della decisione. Il termine previsto da tale norma doveva poi qualificarsi perentorio, come presupposto gia' nella giurisprudenza specificamente intervenuta sul punto - Cass. 6 ottobre 2011, n. 20485, ovvero Cass. 14 giugno 2012, n. 9792 - e conformemente a quanto gia', invece espressamente, affermato per il termine imposto per fa previgente opposizione ai sensi dell'art. 11, comma quinto, legge 8 luglio 1980, n. 319 (fin da Cass. 21 aprile 1994, n. 3812), siccome finalizzato alla proposizione di un'impugnazione. In virtu' della legge di delega, di cui ai primi quattro commi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, ha ricondotto il procedimento, gia' disciplinato dall'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, allo schema del procedimento sommario, ma non ha riprodotto il termine di proposizione espressamente previsto nella disciplina originaria. Infatti, l'art. 34, comma diciassettesimo, del decreto legislativo n. 150/11 ha sostituito il primo comma dell'art. 170 ed abrogato i commi successivi, sicche' esso prevede ora solamente che «avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui e' affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione» e che «l'opposizione e' disciplinata dall'articolo 15 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150». Contemporaneamente, l'art. 15 del medesimo decreto legislativo prevede: «1. Le controversie previste dall'articolo 170 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. Il ricorso e' proposto al capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice di pace e del pubblico ministero presso il Tribunale e' competente il presidente del Tribunale. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello e' competente il presidente della corte di appello. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato puo' essere sospesa secondo quanto previsto dall'articolo 5. 5. Il presidente puo' chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione. 6. L'ordinanza che definisce il giudizio non e' appellabile.». E' evidente che dei termine, originariamente previsto, non vi e' piu' traccia: sicche', in base ad elementari criteri ermeneutici in tema di successione delle leggi, dal combinato disposto del diciassettesimo comma dell'art, 34 e dell'art. 15 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, risulta che esso e' stato soppresso, per essere stata abrogata, mediante integrale riscrittura, la norma che, in precedenza, lo prevedeva. Ma la disposizione che ha comportato tale risultato - e la cui applicazione potrebbe essere dirimente nel caso in esame - non si sottrae a dubbi di non conformita' alla Costituzione, da rilevarsi anche di ufficio. § 7. - In primo luogo, in modo non manifestamente infondato puo' sostenersi che una simile disposizione abbia oltrepassato i limiti della legge delega e quindi violato l'art. 76 della Costituzione. § 7.1. I principi ed i criteri direttivi della delega per la c.d. semplificazione dei riti civili sono stati posti dal comma quarto dell'art. 54 della richiamata legge n. 69/09 nei seguenti testuali termini: «a) restano fermi i criteri di competenza, nonche' i criteri di composizione dell'organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente; b) i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile: 1) i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosita' dell'istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile; 2) i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall'articolo 51 della presente legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilita' di conversione nel rito ordinario; 3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile; c) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b) non comporta l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri ufficiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile; d) restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonche' quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre 1933, n, 1669, nel regio decreto 21 dicembre 1933, n, 1736, nella legge 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprieta' industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.». § 7.2. I primi commentatori non hanno mancato di rilevare che la dimenticanza nell'indicazione dei termine di decadenza per proporre opposizione, che in precedenza era di venti giorni, abbia comportato l'introduzione nel tessuto normativo di nuove contraddizioni e difficolta' operative: lacuna che e' subito apparsa insuscettibile di essere colmata in via interpretativa, poiche' i termini decadenziali, come noto, devono risultare chiari nella legge; e non si e' mancato di rimarcare come, paradossalmente, resti invece in vigore il termine di venti giorni previsto per l'opposizione contro diniego di ammissione al gratuito patrocinio nel solo processo penale, non essendo stato infatti abrogato l'art. 99 del richiamato t.u. 115 del 2002, sicche' termine da esso individuato dovrebbe continuare a vincolare l'opponente. Si e' pertanto da alcuni rilevato che, non potendosi giungere all'estensione, in via ermeneutica, di termini previsti per fattispecie diverse, non si avrebbe altra scelta che sollevare la questione di legittimita' costituzionale, se non altro sotto il profilo dell'eccesso di delega, quanto all'avvenuta soppressione del detto termine perentorio. Altri, al contrario ed al dichiarato fine di scongiurare un tale altrimenti evidente profilo di illegittimita' costituzionale, hanno ritenuto, anche tra i giudici di merito, evincibile in via ermeneutica un termine perentorio di proposizione dell'opposizione. § 7.3. Eppure, deve in modo convinto escludersi la possibilita' di ricavare in via interpretativa l'imposizione di un termine decadenziale, quale quello breve per proporre un'impugnazione (il quale, significativamente, e' previsto specificamente per ciascuna azione di impugnazione - ordinaria e straordinaria - in senso tecnico, a differenza di quello ordinario di cui all'art. 327 Cod. proc. civ.), ovvero quello che, in generale, puo' essere previsto per lo speciale schema procedimentale della «opposizione». Quest'ultimo consiste nell'introduzione di una fase a contraddittorio restaurato - o finalmente instaurato - ma eventuale e rimessa all'impulso della parte nei cui confronti il provvedimento, generalmente in presenza di particolari condizioni di favore per colui che lo consegue, e' stato emesso: solo tali peculiari condizioni e la garanzia della restaurazione, sia pur posticipata, del contraddittorio giustificano l'inversione della posizione processuale delle parti e l'alterazione dell'altrimenti doveroso iniziale equilibrio tra le parti (e, cosi', la stessa costituzionalita' del sistema). La deduzione in via interpretativa di un termine decadenziale non espressamente previsto, in un contesto dove anzi e' stato esplicitamente soppresso, e' in insanabile contrasto con principi generali di ermeneutica, primo fra tutti quello di specialita', applicato al diritto processuale in relazione alla tendenziale liberta' di estrinsecazione delle facolta' in cui si sostanzia il diritto di difesa. E neppure potrebbe ricostruirsi un preteso sistema generale di opposizioni e di termini perentori che le assistano, quand'anche una certa omogeneita' sia riscontrabile in tal senso nel medesimo contesto normativa (il decreto legislativo n. 150/11 qui in esame) di riconduzione a specifici riti preesistenti di altri, in origine anche tra loro sensibilmente differenziati: infatti, il sistema e' un composito quadro di procedimenti ciascuno con le sue specialita', salvo solo il generale richiamo ad un contesto complessivo di riferimento, significativamente privo - nelle sue previsioni generali ovvero originarie - di previsioni decadenziali, strutturati ciascuno ed in concreto su norme processuali di stretta interpretazione, se non francamente eccezionali. Al contempo, il termine decadenziale in parola e' coessenziale alla certezza del diritto e quindi alla funzione stessa del processo e delle scansioni temporali in cui esso deve articolarsi, onde giungere ad un vaglio della pretesa azionata, il quale possa conseguire il risultato della stabilita' quale significativo valore aggiunto rispetto alla situazione conflittuale di partenza. § 7.4. Ma sopprimere un termine decadenziale eccede certamente dall'ambito della delega, circoscritta com'e' stata questa - nella specie - alla mera «riconduzione» di un rito preesistente ad altro: cio' che implica, anche da un punto di vista semantico, una modesta attivita' di risussunzione o, a tutto concedere e nei limiti imposti, di un coordinamento sistematico si', ma pur sempre lessicale e formale, tale da consentire al nuovo articolato la conformita' al modello di riferimento ed una piu' organica ed ordinata articolazione enunciativa. Ed i relativi poteri in concreto conferiti al legislatore delegato, gia' intrinsecamente circoscritti siccome finalizzati esclusivamente a tale esito di assimilazione o comprensione, sono stati viepiu' limitati dall'imposizione della necessita' di tenere fermi i poteri ufficiosi preesistenti e tutti gli effetti processuali speciali (che non possono cioe' conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile e quindi in via diretta ed immediata in dipendenza del sistema processuale generale) della normativa originaria: tutto a rimarcare la funzione di mero coordinamento sistematico, estrinseco e formale dei riti preesistenti in cui il legislatore delegante ha inteso risolvere o ridurre il programma di semplificazione. § 7.5. In conclusione, il termine originario di venti giorni: non poteva essere soppresso dal legislatore delegato; non puo' recuperarsi - se non a prezzo di aperte e non consentite violazioni di consolidati principi generali - in via ermeneutica dal contesto del codice di procedura civile o da altre norme processuali speciali od eccezionali, tali dovendo qualificarsi quelle che impongono termini di decadenza o preclusione per l'esercizio di attivita' processuali altrimenti libere; non puo' essere surrogato dall'ordinario termine - altrimenti detto «lungo» - previsto dall'art. 327 Cod. proc. civ., siccome previsto per tutte le impugnazioni in senso tecnico (quale, a stretto rigore, l'opposizione in parola non e'); e comunque in quanto integrante una barriera preclusiva ulteriore rispetto a quella del termine c.d. breve, proprio e speciale per ciascuna di quelle; non puo' essere surrogato dall'ordinario termine di prescrizione, siccome irragionevolmente eccessivo. Ora, l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale di norme abrogatrici a seguito di riscontrato eccesso di delega comporterebbe la reviviscenza delle norme illegittimamente abrogate (Corte cost. 27 giugno 2012, n. 162): e, quindi, semplicemente la restaurazione del solo originario termine perentorio di proposizione di venti giorni, che sarebbe addetta al corpus normativo compiutamente riscritto, senza porsi in alcun modo in contrasto, ne' esigere alcun ulteriore coordinamento, neppure solo formale. Di conseguenza, va di ufficio rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 34, comma diciassettesimo, e 15, comma secondo, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, per contrasto con l'art. 76 Cost. ed in relazione ai commi primo e quarto dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 nella parte in cui - risultatone abrogato l'inciso, contenuto nell'originario primo comma dell'art. 170 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, «entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione» - piu' non e' previsto che il ricorso e' proposto entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione. § 8. - Senza rinunziare al carattere logicamente prioritario - se non assorbente - dell'impostazione della appena illustrata questione di legittimita' costituzionale in dipendenza del vizio genetico di formazione della norma denunziata, non puo' peraltro farsi a meno di prospettare, in via chiaramente subordinata - ma non meno convinta - rispetto a quella, un ulteriore profilo di non conformita' delle disposizioni in esame ai principi costituzionali, in riferimento al contenuto sostanziale ed agli indiscutibili effetti delle medesime. A tanto si perviene, in particolare, non gia' ipotizzando un legame irrisolto di alternativita' tra le due questioni, ma un collegamento di subordinazione logica di quella che si va ora ad affrontare rispetto a quella appena argomentata, invocando la deliberazione sulla seconda solo per il caso di rigetto di quella che precede (per tutte, Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188) e, quindi, in via consecutiva tra le due (Corte cost., 17 gennaio 1993, n. 7). § 8.1, Infatti, la soppressione della previsione di un termine perentorio per la proposizione dell'opposizione avverso il decreto di liquidazione del compenso all'ausiliario del giudice involge un'ulteriore e subordinata, anch'essa non manifestamente infondata e comunque rilevante per quanto argomentato sopra sub § 5, questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 comma 7 della Costituzione: sotto il primo profilo, poiche' viene ad essere ingiustificatamente trattata in modo diverso la fattispecie della liquidazione dell'ausiliario del giudice da ogni altra ipotesi di provvedimento reso inaudita altera parte dal giudice civile con la scansione procedimentale «decreto-opposizione-restaurazione del contraddittorio» (archetipo delle quali e' il procedimento monitorio ai sensi degli artt. 633 ss. Cod. proc. civ.), nella quale il transito all'ultima di tali fasi, relegata ad un ruolo di eventualita' e posticipazione delle ordinarie facolta' processuali, e' sempre ancorato a termini decadenziali ed assistito da idonee preclusioni, sovente assimilate al giudicato; sotto il secondo profilo, perche' il provvedimentoinaudita altera parte indefinitamente impugnabile impedisce in radice un'efficace difesa dei diritti delle parti, mentre - ben al contrario - dall'esigenza di garantire quest'ultima discendono: da un lato, una certa immanente suscettibilita' di revisione od impugnazione del provvedimento, almeno fino a quando non sia restaurata la pienezza del contraddittorio e solo successivamente con limitazioni e scansioni; dall'altro lato, la sottoposizione della relativa facolta' a termini chiari e preclusivi, idonei a dar luogo ad un'affidabile - quanto meno relativa - immutabilita', tale da escludere una precarieta' sine die o permanente dell'accertamento e dell'eventuale condanna in sede giurisdizionale (ed apparendo, se soli residui, gli ordinari termini di prescrizione manifestamente connotati da irragionevole eccessivita'); sotto il terzo profilo, perche' impedisce il raggiungimento dell'obiettivo, da ritenersi proprio di ogni giusto processo, di una stabilita' - almeno tendenziale - della pronunzia giurisdizionale: poiche' dai principi in materia discende (Corte cost., ord. 6 maggio 2010, n. 163; Corte cost., ord. 4 luglio 2013, n. 174) il diritto ad un equo vaglio giurisdizionale, che sia governato pero', per primarie esigenze ai contempo di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto deve essere assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attivita'. $ 9. - In conclusione, in relazione ad entrambi i profili, principale e subordinato, va disposta - ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 - la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con sospensione del presente giudizio ed assolvimento degli adempimenti prescritti dai citato art. 23, comma 4.